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Mag
Pillole di Coaching per l’educazione degli adolescenti
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Una delle cose più difficili, per chiunque sia genitore, è senz'altro l'educazione dei figli. Nessuno ci insegna a farlo.
Nell’infanzia, occorre tener di conto della limitata capacità critica dei bambini, della loro esigenza di attaccamento, che deve essere equilibrato e sicuro, anche quando i comportamenti non sono quelli che vorremmo.
Con l’adolescenza le cose cambiano. Il giovane ha il desiderio di sentirsi indipendente e di affermare la propria personalità, anche con atteggiamenti polemici, se non aggressivi. Si, perché essere aggressivi con chi è deputato ad amare è molto più facile che con i propri coetanei o con gli estranei.
Come fare per instaurare un processo di “educazione” che possa farci stare in rapporto con i giovani e, nel contempo, aiutarli a fare scelte di vita equilibrate e non dannose per sé medesimi?
Possiamo provare con un approccio orientato alle modalità tipiche del Coaching.
Quando vogliamo aiutare i nostri figli, per prima cosa dobbiamo chiederci come sia possibile condividere, non imporre, ciò che proponiamo loro come modello di comportamento.
Un comportamento che può essere sia nella dimensione mentale (saper essere), sia nella dimensione dei rapporti interpersonali (sapersi relazionare).
Tutti abbiamo provato a proporre ai nostri figli i nostri modelli, nei casi più estremi per sentirci dire che siamo inadeguati o fuori tempo. Quando va bene per vederli considerati meno di quanto proposto dai coetanei, con i quali il giovane si identifica. Senza contare lo strapotere dei media, che fanno un gioco sporco, subliminale, basato sul disvalore del consumismo anche dei sentimenti, ben diverso dall’impegno richiesto dai modelli che noi vorremmo proporre.
Come possiamo instaurare, in queste condizioni sempre più difficili, un dialogo efficace e costruttivo? Ce lo insegna l’approccio del Coach.
Per instaurare un rapporto efficace con i figli adolescenti, occorre creare il clima “giusto” e ciò avviene se dimostriamo che siamo sinceramente interessati alla loro vita e che siamo disposti ad ascoltare, piuttosto che imporre le nostre idee.
Saper ascoltare un giovane, senza giudicarlo; cercare di capire il “suo” modello del mondo, che è obbligatoriamente diverso dal nostro, è la chiave per un buon inizio. Si, ma poi?
Il resto dipende dal fatto che impariamo delle abilità dialettiche utili a far emergere i valori e le credenze che i nostri figli hanno maturato e stanno maturando. Tale maturazione avviene sotto le spinte culturali dei vari mondi che i giovani frequentano: scuola, amici, la stessa famiglia. Aprire un canale di dialogo costante implica impegno da parte nostra. Di impegno al dialogo ce ne viene richiesto tanto. Deve essere l’atto più importante della nostra vita genitoriale.
Un posto deputato a “parlare” in modo sereno e a “far emergere” i pensieri e le idee dei nostri giovani è la tavola. Mangiare assieme e parlare assieme. Ascoltarci, evitando come la peste l’intrusione di altri “elementi” quali televisioni, tablet e telefonini. Parlare e fare domande per stimolare l’abitudine a parlarsi. Ciò vuol dire “lavorare” sul cosiddetto “ambiente domestico”, che è l’unico sul quale possiamo avere influenza diretta.
Il clima di fiducia che deriva dalla capacità di ascolto senza giudizio, porta il giovane ad aprirsi.
Occorre stimolare il senso di responsabilità del giovane. Per ottenere questo occorre porci in un rapporto egualitario, pur senza rinunciare al nostro ruolo di genitore, evitando di fingere di essere amici, mantenendo il nostro status e ruolo. Il miglior risultato si avrà sollecitando uno scambio di vedute e di informazioni che facciano sentire al giovane il senso del rispetto per la propria persona e per le proprie idee. Questo, ci fa crescere agli occhi dei figli e consente loro di sentirsi altrettanto importanti.
Chiedere, fare domande “di qualità” sul punto di vista del giovane nei tanti ambiti di vita, senza pretendere di imporre “ricette di comportamento” che non gli appartengono. Chiedere e ascoltare. Sui vari temi che emergono dalle tante discussioni di tutti i giorni, proporre, come possibilità, dei punti di vista che noi riteniamo maturi, chiedendo di discuterli: questo apre le porte al rapporto e all’assunzione di responsabilità del giovane sulle proprie convinzioni e valori.
Si tratta dell’unica alternativa all’approccio di rigore che crea solo fratture e incomprensioni. Si tratta di accettare la diversità e di lasciare al giovane anche il tempo per crescere, se ciò che vogliamo perseguire è l’obiettivo di educare alla maturità.
In questo modo, potremo “proporre” ai giovani dei modelli di possibile comportamento, non imposti, ma che possono essere discussi, analizzati, approfonditi, creando “consapevolezza”. Proprio in questo modo, potremo aiutarli a comprendere i propri obiettivi, passando attraverso l’esplorazione delle credenze che si sono fatti riguardo al proprio modello del mondo.
Così facendo si otterrà proprio la consapevolezza sui valori che intendono condividere. Naturalmente, senza dimenticare che il giovane vive in un “ambiente” costituito da coetanei, con una loro cultura che egli “deve” in qualche modo condividere, per non essere escluso. Quindi, essere buoni genitori significherà anche impegnarsi per conoscere il mondo delle amicizie dei giovani che educhiamo e cercare di influire, per quanto possibile, nella creazione di un ambiente di vita sano, dove l’abitudine all’impegno fisico e all’impegno sociale siano un riferimento culturale vissuto, mai obbligato, chiaramente basato su valori condivisi e non imposti.
In sostanza, con questo approccio basato sui principi del Coaching, potremo creare consapevolezza sugli aspetti di vita che i giovani affrontano e potremo avviarli a operare scelte mature, basate su un’assunzione di responsabilità individuale. L’impegno, dato da senso di responsabilità sulle scelte e sulla consapevolezza delle situazioni da affrontare, sarà la diretta conseguenza e il fattore di successo che ripagherà i nostri sforzi.